Una volta che ciascuna società partecipante alla fusione ha ottenuto l’iscrizione nel Registro delle imprese dell’atto di fusione, non è più possibile pronunciarne l’invalidità (art. 2504-quater comma 1 c.c.).
Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai partecipanti delle società coinvolte nell’operazione e ai terzi danneggiati dalla fusione (art. 2504-quater comma 2 c.c.).
In altre parole, dunque, una volta avvenute le iscrizioni di cui all’art. 2504 comma 2 c.c., non è più possibile per alcuno procedere a un’azione di tipo revocatorio, restando esperibile solo un’azione di tipo risarcitorio.
Va peraltro sottolineato come la giurisprudenza abbia ritenuto che l’effetto sanante dell’iscrizione nel Registro delle imprese dell’atto di fusione (per cui, avvenuta detta iscrizione, non può più essere pronunciata l’invalidità della fusione) opera anche nel caso in cui la delibera di fusione, successivamente dichiarata nulla, sia stata impugnata prima dell’iscrizione dell’atto di fusione (Trib. Milano 8 settembre 2003).
La scelta del legislatore di riconoscere esclusivamente un’azione di tipo risarcitorio è frutto del necessario bilanciamento degli interessi in gioco, ossia da un lato quelli “individuali” del soggetto danneggiato dalla fusione e dall’altro quelli “collettivi” di certezza del diritto, posto che la commistione di rapporti giuridici e patrimoni che discende dall’effettuazione di un’operazione di fusione renderebbe oltre modo instabile un sistema caratterizzato dalla possibilità di ottenere a posteriori l’annullamento della fusione, anziché il più semplice (e assolutamente legittimo) ristoro del danno patito.
Proprio sulla base di tali argomentazioni è stata giudicata manifestatamene infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2504 c.c., in relazione all’art. 24 Cost., nella parte in cui sancisce l’irrevocabilità della fusione, una volta che la medesima si sia positivamente perfezionata (Trib. Genova 21 dicembre 2000 e Trib. Milano 13 maggio 99).
Dall’effettuazione di un’operazione di fusione possono determinarsi non solo profili di responsabilità civile per danni, ma anche profili di responsabilità penale.
Infatti, ai sensi dell’art. 2629 c.c.: gli amministratori che, in violazioni delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano fusioni cagionando danno ai creditori sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da 6 mesi a 3 anni; il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.
I soggetti cui può essere contestato il reato di operazioni in pregiudizio dei creditori sono dunque esclusivamente gli amministratori della società.
Contro il reato di operazioni in pregiudizio dei creditori si può procedere solo a querela della persona offesa.
A tale proposito, giova ricordare che, ai sensi dell’art. 124 c.p.: la querela deve essere presentata entro il termine perentorio di 3 mesi dalla data in cui la parte offesa è venuta a conoscenza del fatto lesivo; il diritto di querela, tuttavia, non può essere esercitato se vi è stata rinuncia espressa o tacita (compimento di atti non compatibili con la volontà di querelare) da parte dell’avente diritto.
Il reato di operazioni in pregiudizio dei creditori: è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, ma non è punibile, in quanto il reato stesso si estingue, se, prima del giudizio, si provvede a risarcire il danno patito dai creditori.
Ai sensi dell’art. 157 c.p., il reato di operazioni in pregiudizio dei creditori, in quanto delitto, cade in prescrizione in sei anni.