Con la sentenza n. 5778, depositata il 4 marzo 2024, la Cassazione ha esaminato le condizioni al ricorrere delle quali gli esportatori abituali, a seguito di splafonamento, possono detrarre l’IVA versata all’Erario.
La Suprema Corte ha riconosciuto piena legittimità all’istituto della rivalsa post accertamento ex art. 60 comma 7 del DPR 633/72, nonostante l’Amministrazione finanziaria, nel caso di specie, in sede di verifica ne avesse negato l’applicabilità sostenendo che lo splafonamento integrasse una “violazione di carattere sostanziale che non dava diritto alla detrazione” in capo all’esportatore abituale.
La decisione dei giudici di legittimità si fonda, come detto, sull’istituto di cui all’art. 60 comma 7 del DPR 633/72 (introdotto con il DL 1/2012), il quale attribuisce: per un verso, il diritto per il cedente o prestatore di “rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi”; per altro verso, il diritto per il cessionario o committente di detrarre l’IVA che gli è stata ex post addebitata in rivalsa, previo pagamento della stessa al fornitore.
Il descritto istituto è applicabile anche alle violazioni degli esportatori abituali che abbiano effettuato acquisti oltre il plafond disponibile sebbene, nella particolare fattispecie, il legislatore abbia contemplato una deroga al principio generale tale per cui l’IVA è in linea generale dovuta dal cedente o prestatore ex art. 17 del DPR 633/72.
Ai sensi dell’art. 7 del DLgs. 471/97, difatti, lo splafonamento determina la responsabilità per l’omesso pagamento del tributo esclusivamente in capo al cessionario o committente che ha rilasciato la dichiarazione d’intento.
La peculiarità consiste nel fatto che non vi è un addebito in rivalsa da parte del fornitore ma è lo stesso cessionario o committente, destinatario dell’avviso di accertamento, a versare l’IVA dovuta (più sanzioni e interessi) e a maturare il diritto alla detrazione.
È stata la stessa Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 35/2013 (§ 3.3), menzionata nella sentenza in commento, ad avere confermato la validità dello speciale istituto ex art. 60 comma 7 del DPR 633/72, poiché “la tutela del principio di neutralità del tributo impone che la facoltà di detrarre l’IVA pagata in sede di accertamento” sia riconosciuta anche nell’ipotesi in cui il debitore dell’imposta risulti essere il cessionario o committente.
Peraltro, in seguito, la risposta a interpello n. 28/2018 ha anche evidenziato che la detrazione – in capo all’esportatore abituale – spetta a prescindere dall’emissione dell’autofattura.
Come ulteriormente precisato nella circ. n. 35/2013, in forza dell’art. 60 comma 7 in esame, “l’esportatore abituale cui sia stato contestato lo splafonamento potrà esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il medesimo ha provveduto al pagamento dell’imposta, della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi” (e alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione).
Tra l’altro, si evidenzia che il termine biennale per l’esercizio della detrazione derivante da rivalsa post accertamento è rimasto immutato anche a seguito della riduzione a un anno del termine ordinario entro cui esercitare tale diritto ex art. 19 comma 1 del DPR 633/72.
Lo ha confermato la circ. Agenzia delle Entrate n. 1/2018, illustrando che l’art. 60 comma 7 del DPR 633/72 non è stato modificato dal legislatore in ragione del fatto che la disposizione “è dotata, nell’ambito del corpus del d.P.R. n. 633 del 1972, di un carattere di specialità”.
La Cassazione, nel pronunciarsi sull’argomento, si è soffermata sui principi che garantiscono la detrazione nella fattispecie della rivalsa successiva all’accertamento (ancorché derivante da splafonamento del cessionario o committente).
È messo in luce il principio di neutralità dell’IVA e l’impossibilità di limitare il diritto alla detrazione, in quanto “cardine” del sistema, salvo che si sia in presenza di una comprovata frode o abuso.
Nello specifico, la Suprema Corte ha evidenziato che “la restituzione dell’imposta versata all’Erario per acquisti in sospensione d’imposta oltre il plafond, risponde ai principi tutelati anche in ambito comunitario secondo il quale il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto è inteso a garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche e far sì che il produttore dei beni non resti inciso da un’imposta sui consumi quale è l’IVA che, proprio per la sua finalità, deve gravare esclusivamente su consumatore finale dei beni”.