Il Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (CCII) ha introdotto, sin dalla sua originaria entrata in vigore, nel febbraio del 2019, un nuovo secondo comma nell’art. 2086 c.c., che recita testualmente:
“L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
La norma risente chiaramente della sua origine e cioè della circostanza che è stata inserita nel sistema normativo in sede di riforma delle procedure concorsuali.
È chiara, cioè, nell’intenzione del legislatore che gli assetti organizzativi ed amministrativo-contabili, non solo devono essere adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa, ma devono consentire da una parte la tempestiva rilevazione della crisi e della possibile perdita della continuità e dall’altra, la possibilità di attivarsi per le procedure che l’ordinamento prevede per evitare il disgregamento del compendio aziendale.
Ma la versione definitiva del CCII è andata oltre la previsione degli adeguati assetti per le società e per gli imprenditori collettivi.
L’art. 3, al primo comma, stabilisce infatti che “l’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte”.
Pertanto, mentre le società devono avere assetti adeguati, le ditte individuali devono adottare misure idonee.
Ma sia gli adeguati assetti che le misure idonee devono consentire di rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico – finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa, verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale per i 12 mesi successivi, nonché i segnali della crisi.
Le problematiche più rilevanti che sorgono dalla lettura della norma si originano per le piccole imprese individuali.
L’art. 2 ha individuato la soglia di assoggettabilità a liquidazione giudiziale nella realizzazione congiunta di tre parametri: attivo patrimoniale non superiore a Euro 300.000 annui, nei tre anni antecedenti all’istanza per la liquidazione giudiziale; ricavi non superiori a Euro 200.000 annui, nei tre anni antecedenti all’istanza per la liquidazione giudiziale; ammontare di debiti non scaduti non superiore ad Euro 500.000.
Non si può però dimenticare che gli imprenditori individuali e le società di persone hanno la facoltà di tenere la contabilità in modalità semplificata qualora i ricavi non superino 500.000 euro per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi oppure 800.000 euro per le imprese aventi per oggetto altre attività. Questo può voler dire che possano essere assoggettate a liquidazione giudiziale imprese o società di persone che hanno la facoltà di tenere la contabilità semplificata.
È evidente che la contabilità semplificata non riesce, da sola, a far individuare squilibri di carattere patrimoniale o finanziario, come richiede il CCII, potendo, al più, essere utile per individuare uno squilibrio economico.
Non solo. L’art. 3, comma 4, stabilisce tre segnali della crisi, che devono essere individuati all’interno dell’impresa: debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni > metà dell’ammontare delle retribuzioni di un mese; debiti verso fornitori scaduti da oltre 90 giorni > debiti verso fornitori non scaduti; esposizioni verso banche scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da oltre 60 gg il limite di fido purché > 5% totale delle esposizioni.
È del tutto evidente che, per un’impresa in contabilità semplificata, sono tutti elementi non immediatamente disponibili dalla contabilità.
Ma, per la verità, nemmeno le imprese in contabilità ordinaria e le società di capitali, potrebbero avere immediatamente disponibili tutti i dati richiesti dal CCII.
Il primo segnale (ammontare delle retribuzioni e retribuzioni pagate) è certamente ritraibile dalla contabilità.
Il secondo segnale richiede che alla contabilità sia affiancato uno scadenziario dei fornitori, per comprendere se i debiti verso essi siano scaduti e da quanto tempo.
Il terzo segnale richiede la raccolta di informazioni extracontabili, in quanto occorre conoscere la scadenza delle esposizioni verso le banche e l’ammontare degli affidamenti concessi all’impresa.
È quindi evidente che assumono rilevanza dati ed informazioni non immediatamente ritraibili dalla contabilità (anche ordinaria).
In conclusione, da una parte, non è necessario che le piccole e piccolissime imprese si imbarchino nella costruzione di procedure organizzative e amministrativo-contabili complesse ed esagerate rispetto alle dimensioni dell’impresa. Una piccola e piccolissima impresa ha ordinariamente una organizzazione basica e gli assetti amministrativi e contabili sono costituiti dall’attività del commercialista e del consulente del lavoro.
Ma per poter rispondere agli obblighi che la disciplina del CCII impone, occorre comunque che l’imprenditore, anche in contabilità semplificata ma che supera i limiti per l’assoggettabilità alla liquidazione giudiziale, coadiuvato dai professionisti che lo assistono, abbia a disposizione, ai fini del loro tempestivo utilizzo, informazioni sull’equilibrio patrimoniale e finanziario, sulla situazione debitoria e sulla possibilità di poter sostenere la situazione per i dodici mesi successivi e tutti i dati, anche extracontabili, che la legge specifica per la verifica dei segnali della crisi.