19 febbraio 2024 – Lavori edilizi, le detrazioni devono essere escluse dall’imponibile aziendale

Le detrazioni d’imposta concesse alle imprese che sostengono spese per interventi di riqualificazione di beni immobili sono escluse dalla base imponibile (anche Irap). Ai fini fiscali è irrilevante sia la destinazione – bene strumentale o bene merce – dell’immobile al quale afferiscono, sia la tecnica adottata per la contabilizzazione delle relative detrazioni d’imposta.
Con questa interpretazione (Norma 224, gennaio 2024), l’Associazione italiana dottori commercialisti (Aidc) prende posizione su un tema divenuto molto comune dopo la pubblicazione del documento Oic «Comunicazione sulle modalità di contabilizzazione dei bonus fiscali» (diffuso in via definitiva il 3 agosto 2021).
Paradossalmente, l’Oic diramò la Comunicazione proprio in risposta ai quesiti posti dall’Agenzia in tema di contabilizzazione dei bonus edilizi, nelle varie fattispecie che si verificano per effetto degli articoli 119 e 121 del Dl 34/2020. Il comportamento contabile e fiscale pregresso era pressoché uniforme: in quanto “detrazione d’imposta”, l’importo veniva (in genere extra-contabilmente) portato a riduzione dell’Ires o dell’Irpef, che quindi erano riportate a Conto economico già al netto del vantaggio maturato dall’impresa con l’investimento agevolato.
Nessuno si poneva il tema di possibili conseguenze fiscali legate alla maturazione del bonus, a maggior ragione dopo che la stessa Direzione regionale delle Entrate del Piemonte (risposta a interpello protocollo 901-445/2020) aveva affermato che «la detrazione non rappresenta né un contributo né un credito d’imposta», concludendo che tale importo «non può concorrere alla formazione della base imponibile».
Concentrando l’attenzione sulle imprese committenti (e, quindi, prime beneficiarie dirette del bonus), dal 2021 l’equiparazione fatta dall’Oic tra la detrazione e un contributo in conto impianti comporta alternativamente (a seconda del metodo di contabilizzazione adottato): l’iscrizione di un risconto passivo rilasciato a conto economico nel periodo di ammortamento dell’immobilizzazione materiale iscritta (metodo indiretto); la riduzione del costo dell’investimento sostenuto, sino al suo azzeramento in caso di superbonus 110% (metodo diretto).
Quest’ultima strada, peraltro, non ha alternative per l’impresa committente quando il fornitore riconosce lo “sconto in fattura”, poiché l’investimento va iscritto direttamente al netto dell’importo scontato (paragrafo 6 del documento Oic).
Sulle conseguenze fiscali di questa mutata contabilizzazione la dottrina si è divisa. Una prima interpretazione ha sostenuto che i bonus finirebbero per generare per pari importo materia imponibile, sotto forma di proventi ripartiti nel tempo o minori ammortamenti, a causa di una combinazione “sfortunata” tra derivazione dal bilancio e assenza di una norma che disattivi questo effetto. La tesi rende rilevanti fiscalmente (rispettivamente come proventi e oneri finanziari) anche il “plus” del 10% caratteristico del superbonus e lo “sconto” trattenuto dalla banca in caso di cessione, al punto che ci si è interrogati sul ruolo di questi importi nell’ambito dell’articolo 96 del Tuir. Ma tende a dimenticare che le imprese contabilizzavano i bonus da ben prima del 2021 con quote tuttora in detrazione, e che molte di esse non presentano neppure un Conto economico civilistico (semplificati, forfettari, eccetera), per cui l’inquadramento contabile non è la sola variabile per decidere le conseguenze fiscali.
L’Aidc, nella norma 224, sposa in pieno l’altra interpretazione già da tempo diffusa, secondo cui – a prescindere dalla classificazione e qualificazione contabile dei bonus, come pure dall’applicazione concreta della metodologia diretta o indiretta di contabilizzazione – dalla natura di detrazione d’imposta deriva l’irrilevanza fiscale dell’importo rispetto alla determinazione della stessa imposta.
Trattandosi di una rettifica di un’imposta indeducibile ai fini delle imposte sui redditi (articolo 99, Tuir), ne deriva, ab origine, la non imponibilità, che si estende ai fini Irap ex articolo 5, comma 3, del Dlgs 446/97, secondo cui non concorrono alla formazione del valore della produzione i contributi correlati a costi indeducibili. Pur nel silenzio del documento, ne dovrebbe conseguire l’irrilevanza anche delle correlate poste finanziarie attive e passive. Sono le variazioni dichiarative, diverse a seconda del metodo di contabilizzazione adottato e della tipologia di bene (strumentale o merce) oggetto di intervento, a concretizzare nei fatti tale non imponibilità. Nell’attesa che le Entrate – tardivamente per le imprese ma in tempo per le verifiche – facciano conoscere il loro pensiero su poste che hanno caratterizzato i bilanci dal 2020 in poi.