29 gennaio 2024 – Sopravvenienza imponibile solo se l’inesistenza della passività è certa

Con la sentenza n. 2517, pubblicata il 26 gennaio 2024, la Corte di cassazione si è pronunciata in merito all’imponibilità delle sopravvenienze attive derivanti dalla sopravvenuta insussistenza di passività, soffermandosi, in modo particolare, sui criteri di imputazione temporale.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione, in riferimento al periodo d’imposta 2006, una sopravvenienza attiva (peraltro, di importo ingente) per insussistenza di passività (debiti) iscritte in bilancio in esercizi precedenti.
Si evidenzia, inoltre, che la sopravvenienza non era stata rilevata in bilancio con riferimento all’esercizio oggetto di accertamento.
La Suprema Corte ha riportato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale, in tema di reddito d’impresa, la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, che costituisce sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 55 (ora art. 88) comma 1 del TUIR, si realizza in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, e dunque indipendentemente dal sopraggiungere di eventi gestionali straordinari o comunque imprevedibili, una posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata, e assuma quindi in bilancio una connotazione attiva, come liberazione di riserve, con il conseguente assoggettamento a imposizione, in riferimento all’esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio e acquista certezza (Cass. n. 1508/2020).
Da un punto di vista giuridico, una sopravvenienza attiva (e tale deve considerarsi anche il venir meno di un costo contabilmente rappresentato da uno storno di fattura o dall’emissione di una nota di credito) deve essere assoggettata a imposizione in riferimento all’esercizio in cui la posta attiva acquista certezza (Cass. nn. 20543/2006, 1508/2020, 24580/2022 e 3901/2023).
Non rileva, dunque, il momento in cui l’eliminazione della posta passiva sia stata contabilmente annotata, perché, se così fosse, si renderebbe derogabile il principio di imputazione per competenza. Rileva, invece, il momento in cui si è acquisita la giuridica certezza della inesistenza della posta passiva, cioè il momento in cui si è verificato il fatto di gestione che ha prodotto il venir meno della posta passiva (Cass. n. 20608/2023).
Alla luce di tali orientamenti, la Cassazione ha smentito la tesi esposta dalla curatela fallimentare (che era succeduta, intervenuto il fallimento, alla società contribuente), secondo cui la sopravvenienza attiva per insussistenza di passività sarebbe imponibile (e accertabile) solo nell’esercizio in cui ricorra, alternativamente, la rilevazione contabile e, quindi, l’esposizione nel bilancio d’esercizio, ovvero l’acquisizione della giuridica certezza della inesistenza della posta passiva, ossia che essa consegua, in modo oggettivo e incontrovertibile, da atti e fatti giuridicamente rilevanti.
Secondo i giudici di legittimità, tale tesi, laddove incentrata sulla necessità dell’annotazione in bilancio della posta attiva, quale condizione necessaria e sufficiente per l’esercizio della potestà accertativa dell’Ufficio ex art. 88 del TUIR, lascia, infatti, il contribuente – cui detta annotazione compete – arbitro dell’emersione della sopravvenienza, rimettendogli, in sostanza, la scelta del periodo di imposta a lui più conveniente in cui rendere possibile all’Ufficio il recupero a tassazione.
Per contro, in virtù dei principi giurisprudenziali richiamati, occorre fare riferimento unicamente al criterio di “emersione” della sopravvenienza attiva, per cui tale componente può essere legittimamente recuperato a tassazione nell’esercizio in cui lo stesso si sia palesato e se ne siano accertati i presupposti.
L’applicazione di tali principi induce la Suprema Corte a ritenere che, nel caso di specie, tale periodo coincida con l’anno 2006, oggetto del controllo fiscale.
Ai fini di una completa analisi, occorre evidenziare che, sotto alcuni aspetti, la sentenza non appare chiara.
Non si comprende, infatti, né la natura della passività, né da quali elementi, nella specie, la Corte desuma la certezza giuridica dell’inesistenza della stessa.
Sotto altro profilo, la fattispecie in analisi non è completamente intellegibile, in quanto dapprima viene affermato che le passività oggetto di accertamento erano “originate da costi dedotti negli anni precedenti” e poi si rileva che il debito era “originato da costi contabilizzati in esercizi precedenti e considerati dall’Agenzia come non documentati e/o inesistenti”.
Infine, non si comprende il motivo per cui la sentenza, per fornire argomentazioni a favore dell’imponibilità della sopravvenienza, evidenzi che la contribuente aveva omesso di indicare, in Nota integrativa, i criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio e nelle rettifiche di valore (art. 2427 comma 1 n. 1 c.c.), nonché le variazioni intervenute nella consistenza delle voci del passivo (art. 2427 comma 1 n. 4 c.c.).
Non sembra, infatti, elemento dirimente, ai fini in esame, la violazione dell’obbligo di informativa su tali voci.