Un punto essenziale per ottenere e conservare la qualificazione di ente del Terzo settore è il divieto di distribuzione di utili anche in forme indirette. Non è sufficiente che la previsione sia contenuta nello statuto, ma alla stessa deve essere data concreta attuazione.
Per tale ragione il legislatore della riforma ha previsto anche dei limiti al pagamento delle retribuzioni in favore dei lavoratori del Terzo settore. Il legislatore si è mostrato preoccupato della circostanza che sotto la veste formale di retribuzioni spettanti ai lavoratori l’ente del Terzo settore effettuasse, nella sostanza, una distribuzione di utili.
In particolare, l’art. 8 del D.Lgs n. 117/2017 prevede che i lavoratori del Terzo settore non possano ricevere retribuzioni o compensi superiori di importo superiore al 40 per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Nell’ipotesi in cui l’ETS non rispettasse il predetto limite troverà applicazione la presunzione di distribuzione di utili in forma indiretta con l’ulteriore effetto della cancellazione dal RUNTS.
Il limite riguarda sia le retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti, ma anche i compensi spettanti ai lavoratori autonomi e ai lavoratori titolari di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
In alcuni casi, sia pure eccezionali, sarà possibile superare tale limite del 40 per cento come previsto espressamente dalla norma in commento. In particolare, il limite può essere superato in caso di comprovate esigenze legate alle attività di interesse generale svolte. Non è chiaro, però, come si intenda per “comprovate esigenze”.
La disposizione in commento non è applicabile agevolmente e saranno essenziali i chiarimenti che fornirà il Ministero del lavoro e delle politiche sociali oltre l’Agenzia delle entrate. Il parametro del 40 per cento riguarda, come detto, anche i lavoratori autonomi in possesso della partita Iva.
I predetti soggetti effettuano prestazioni di servizi rilevanti ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972 e quindi, ad eccezione dei contribuenti forfetari, addebitano l’imposta sul valore aggiunto in via di rivalsa. A tal proposito deve ragionevolmente ritenersi che la verifica dell’osservanza del limite del 40 per cento debba essere effettuata al netto dell’Iva, quindi, senza considerare il tributo addebitato.
Le ragioni di tale interpretazione sono intuibili. La ratio della norma è quella di evitare la distribuzione di utili sotto la veste formale di retribuzioni o compensi. L’Iva incassata dal professionista deve essere versata nelle casse dell’erario e non costituendo una somma che può essere trattenuta da parte del percipiente non può in ogni caso assumere la natura di utili oggetto di distribuzione. Per tale ragione la verifica dell’osservanza del limite del 40 per cento deve essere effettuata sul compenso al netto dell’imposta sul valore aggiunto.
La soluzione è pressoché analoga per ciò che riguarda l’addebito del contributo integrativo del 4 o 5 per cento effettuato dai professionisti iscritti ad un ordine professionale. L’importo addebitato al cliente deve essere versato periodicamente in favore della Cassa di previdenza cui risulta iscritto il professionista.
L’importo percepito a tale titolo non può in ogni caso costituire un utile considerato, appunto, l’obbligo di versamento. Pertanto, esso non assumerà rilevanza al fine della verifica dell’osservanza del limite di compensi pari al 40 per cento.