Il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 6214/2023, riepiloga le tipologie di versamenti che i soci possono effettuare in favore di una società, con indicazioni sulle relative, principali, caratteristiche.
Si distingue, innanzitutto, tra apporti fuori capitale e finanziamenti dei soci.
Gli apporti fuori capitale sono versamenti effettuati causa societatis e senza obbligo di rimborso che ne realizzano un rafforzamento patrimoniale dando luogo a crediti esigibili solo in caso di scioglimento dell’ente.
I finanziamenti soci, invece, configurano veri e propri prestiti, da cui deriva un obbligo di rimborso a carico della società; contabilmente sono inseriti tra i “debiti verso altri finanziatori”, nel passivo del Conto economico, e, salvo che risultino postergati ex art. 2467 c.c., sono da assimilare ai finanziamenti erogati da terzi.
Con particolare riguardo agli apporti fuori capitale, occorre considerare che, talvolta, i soci – senza procedere ad un aumento del capitale sociale – operano versamenti denominati “in conto capitale” o “a copertura perdite”; ciò al fine di costituire un fondo destinato a ripianare eventuali perdite, evitando così di incorrere nella disciplina della riduzione obbligatoria del capitale.
Si tratta di versamenti che, da un lato, sono caratterizzati dalla mancanza di un obbligo di restituzione a carico della società e, dall’altro, non possono comunque essere equiparati ai conferimenti di capitale per inosservanza del relativo procedimento di aumento. Possono essere effettuati solo da alcuni soci, non essere proporzionali alle quote di partecipazione al capitale e non incontrare le limitazioni previste per i conferimenti in natura ove aventi ad oggetto apporti diversi dal denaro.
Anche i versamenti “a fondo perduto” sono apporti spontanei, non necessariamente proporzionali alla partecipazione, che restano definitivamente acquisiti al patrimonio della società perdendo ogni legame con il soggetto erogante. Essi, tuttavia, si risolvono in negozi atipici gratuiti solitamente diretti a ripianare perdite già contabilizzate o che si prevede matureranno nel corso dell’esercizio.
Come evidenziato, anche i versamenti in conto capitale si traducono in un incremento del solo patrimonio netto della società e non sono imputabili a capitale; ciò, peraltro, salvo che, con apposita delibera assembleare di modifica dell’atto costitutivo, non ne venga disposto successivamente l’utilizzo per un aumento del capitale sociale. Tuttavia, al momento in cui viene eseguita la relativa erogazione sono svincolati da una attuale o futura delibera di aumento del capitale sociale e sono diretti in via definitiva a incrementare il patrimonio della società.
Si distinguono, dunque, dai versamenti destinati alla copertura anticipata di un “determinato” aumento del capitale sociale non ancora deliberato o perfezionato ovvero dai versamenti c.d. “in conto futuro aumento di capitale”. Tali versamenti costituiscono, in sostanza, una sottoscrizione anticipata del capitale destinata a perfezionarsi con la successiva delibera da parte della società.
Essi, pur avendo tra le proprie caratteristiche un diritto di restituzione nel caso di mancato aumento del capitale, non devono essere confusi con i veri e propri finanziamenti dei soci; con conseguente non assoggettabilità degli stessi alla disciplina della postergazione dei finanziamenti soci “anormali“ di cui all’art. 2467 c.c. D’altra parte, è da escludere una funzione oggettiva di credito per versamenti che, ove non intervenga l’aumento programmato, vanno sì restituiti, ma non perché eseguiti a titolo di finanziamento, ma semplicemente perché la fattispecie prospettata (l’aumento di capitale) non si è perfezionata.
Quanto ai veri e propri finanziamenti, infine, riconducibili al contratto di mutuo e connotati dall’obbligo di rimborso a carico della società, si evidenzia come possano: essere gratuiti oppure onerosi; essere assistiti o meno da garanzie reali o personali; presentare o meno l’indicazione di un termine di restituzione.
Allorché la loro richiesta sia sottoposta all’assemblea dei soci, la relativa approvazione non fa sorgere, di per sé, neppure in capo a chi abbia espresso voto favorevole, l’obbligo di eseguire il versamento, essendo a tal fine necessaria un’ulteriore, distinta, manifestazione di volontà negoziale da parte di ciascun socio, la cui prova non richiede forme particolari.
Ad ogni modo, non è sempre facile distinguere se un versamento del socio in favore della società sia un finanziamento o un apporto fuori capitale.
La qualificazione dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova – di cui è onerato il socio attore in restituzione – non tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta in bilancio, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.