Nell’ambito della disciplina dei rapporti di lavoro subordinato, la concessione di buoni pasto o buoni acquisto non costituisce diritto imprescindibile del lavoratore e spetta soltanto se previsto da un apposito accordo collettivo o individuale. In mancanza di tale accordo, i benefici previsti dai buoni pasto non possono essere pretesi poiché non rappresentano una parte della retribuzione ma un beneficio assimilato alle prestazioni di welfare.
La legge, infatti, non impone al datore di lavoro alcun obbligo sul rilascio dei buoni acquisto o dei buoni pasto: la loro concessione è sempre specificata nel contratto di assunzione o frutto di successivi accordi.
Vediamo allora quali sono le principali differenze tra questi due strumenti.
I buoni pasto sono documenti emessi in forma cartacea o elettronica utili per ottenere, dagli esercizi convenzionati con la società di emissione, la somministrazione di alimenti e bevande e la cessione di prodotti di gastronomia pronti per il consumo. Si tratta, infatti, di un servizio sostitutivo della mensa aziendale di importo corrispondente al valore facciale del buono pasto.
I buoni pasto non sono cedibili, commercializzabili, cumulabili oltre il limite di 8 buoni o convertibili in denaro. Essi, inoltre, sono utilizzabili esclusivamente per l’intero valore facciale ed hanno validità di un anno. Possono essere utilizzati solo se datati e sottoscritti dal titolare.
I buoni pasto sono esenti da tassazione fino all’importo giornaliero stabilito dalla legge: soltanto l’eccedenza rispetto a tale cifra concorre a determinare il reddito da lavoro dipendente ai fini del calcolo dei contributi previdenziali e delle ritenute fiscali.
Il buono cartaceo non è soggetto a trattenute fino al valore facciale di 4 euro, quello elettronico è esente da tassazione fino al valore di 8 euro.
La non imponibilità fiscale e contributiva degli importi erogati sotto forma di buoni pasto si applica anche ai lavoratori subordinati a tempo parziale, ma soltanto se l’articolazione dell’orario di lavoro non preveda il diritto alla pausa pranzo.
Tra gli strumenti di incentivazione e retention del personale ai buoni pasto, che si possono utilizzare solo nei giorni lavorativi per acquistare prodotti alimentari, si affiancano i buoni spesa generalisti che i lavoratori possono utilizzare per acquistare beni e servizi di diverso genere e che, a pieno titolo, rientrano tra i fringe benefit.
Si tratta infatti di una erogazione in natura esente da imposizione fiscale e contributiva fino all’importo annuo di 258,23 euro (comma 3 dell’articolo 51 del TUIR).
Per il periodo d’imposta 2024, la Legge di Bilancio (art. 1 comma 16 L. n. 213 del 30 dicembre 2023) ha previsto l’innalzamento della soglia esentasse relativa ai fringe benefit fino a: 2.000 euro per chi ha figli fiscalmente a carico (compresi quelli nati fuori dal matrimonio e riconosciuti, i figli adottivi e affidati secondo le condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del TUIR); 1.000 euro per i dipendenti che non hanno figli a carico.