Nulla impedisce lo scorporo a favore di società già esistente, ma in tal caso occorre rispettare le regole sul rapporto di cambio: questo è il principio affermato da una nuova massima del Consiglio Notarile di Milano. Lo scorporo è una variante della scissione, caratterizzata dall’assegnazione di azioni o quote della beneficiaria alla società scissa, invece che ai relativi soci.
La sua introduzione nel Codice civile (articolo 2506.1) risale al marzo di quest’anno come conseguenza dell’attuazione della direttiva UE 2019/2121 sulle operazioni societarie transfrontaliere (trasformazione, fusione, scissione). Ma, poiché la normativa unionale armonizza la sola scissione mediante scorporo a favore di una società da crearsi con la stessa operazione per essere regolata dalla legge di uno Stato membro diversa dalla legge della scissa, anche lo scorporo di una società italiana a favore di altra società italiana è stato previsto e disciplinato con riguardo ad una beneficiaria neocostituita.
Ciò non significa, però, che non sia consentito lo scorporo a favore di una società già esistente. Vari argomenti conducono a una soluzione positiva del problema: l’ammissibilità di operazioni straordinarie secondo varianti atipiche, cioè non espressamente contemplate dalla legge; l’analisi delle ragioni sottostanti all’introduzione dello scorporo, prive di intenti restrittivi; la comparazione con altri ordinamenti; la meritevolezza degli interessi perseguiti con l’inserimento, nella base sociale della beneficiaria, della società scissa in luogo dei suoi soci, quando per numero o caratteristiche questi rischino di alterare gli equilibri raggiunti.
Ovviamente in questo caso occorre stabilire qual è la congrua partecipazione spettante alla scissa tenendo conto, da un lato, della parte di patrimonio proveniente dalla scissa e, dall’altro, del patrimonio già presente nella beneficiaria, in modo da non pregiudicare né la scissa (e indirettamente i suoi soci) né i soci della beneficiaria. Il che comporta l’applicazione delle regole sul rapporto di cambio (situazioni patrimoniali, relazioni degli amministratori, relazione degli esperti, se gli aventi diritto non vi rinunziano) che, invece, vengono disapplicate quando la scissione è a favore di una società nata con l’operazione e dotata del solo patrimonio proveniente dalla scissa.
Per quanto al diritto di recesso, non riconosciuto nello scorporo a favore di una neocostituita, vi sono buone ragioni per negarlo ai soci della scissa anche nella variante in discorso – stante il risultato finale per loro del tutto simile a quello che si verifica nell’alternativa ipotesi del conferimento del patrimonio assegnato alla beneficiaria in sede di aumento del capitale – e, al contrario, per riconoscerlo ai soci della beneficiaria che non sia una società azionaria: per questi ultimi non si nota alcuna differenza rispetto ad altre varianti scissorie.
Ulteriori aspetti problematici di ogni scorporo vengono, poi, affrontati dalla massima milanese. In primo luogo, si è precisato che non occorre relazione di stima della parte di patrimonio assegnata alla beneficiaria fuori dai casi in cui in ogni scissione tale relazione è richiesta, come nell’ipotesi in cui la scissa sia una società di persone e la beneficiaria una società di capitali o ancora quando il patrimonio assegnato concorra a determinare il capitale della scissa mediante valori esistenti ma non risultanti da corrispondenti poste di bilancio.
In secondo luogo, si è chiarito che lo scorporo può essere seguito da modifiche anche rilevanti nell’attività della scissa, ivi incluse quelle conseguenti alla sua messa in liquidazione, in quanto l’indicazione normativa secondo cui la scissa “continua la sua attività” mira soltanto ad escludere che tale società, dovendo acquisire una partecipazione nella beneficiaria, possa direttamente estinguersi come avviene nella scissione totale.