La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 18891, depositata ieri, conferma la legittimità di una clausola statutaria che individui una specifica situazione al ricorrere della quale il socio è obbligato all’alienazione della sua quota di partecipazione al capitale della srl senza una previa manifestazione di volontà da parte dell’assemblea, non essendo qualificabile come ipotesi di esclusione.
La clausola in questione è la seguente: “Nell’ipotesi in cui i soci persone fisiche detentori di una quota di partecipazione minoritaria di Beta srl prestino anche la propria attività lavorativa per Beta srl ovvero per le società controllate da e/o collegate a quest’ultima e detta attività cessi per qualsiasi ragione o causa, i soci come sopra indicati sono obbligati ad offrire in acquisto pro quota agli altri soci le quote di partecipazione di Alfa srl in loro possesso ad un prezzo equivalente al valore del patrimonio netto corrispondente”.
I giudici di merito – e, in particolare, la sentenza n. 757/2021 della Corte d’Appello di Torino – hanno ritenuto che lo statuto della srl possa prevedere una clausola come questa, di recesso vincolato-obbligatorio. Situazione che si distingue dall’ipotesi di esclusione del socio in senso tecnico – non prevedendosi una delibera di esclusione assembleare ex art. 2287 c.c. avente efficacia decorsi trenta giorni dalla comunicazione in assenza di opposizione (analogicamente applicabile alla srl) – connotandosi come obbligazione a vendere alla quale si applicano, comunque, gli artt. 2473-bis e 2473 c.c.
In particolare, dal momento che, in astratto, possono costituire giusta causa di esclusione dalla srl la perdita di requisiti soggettivi o altri eventi riguardanti la persona del socio o, ancora, altre circostanze che intacchino l’efficienza organizzativa della posizione del socio, è ravvisata, in concreto, una giusta causa di esclusione nel venir meno di quell’attività lavorativa che aveva rappresentato proprio il fondamento per l’acquisizione della partecipazione nella srl (e senza la quale la medesima non sarebbe intervenuta).
La previsione di cui all’art. 2473 comma 3 c.c., inoltre, richiamata dall’art. 2473-bis c.c., non è reputata inderogabile nella parte in cui dispone il rimborso della partecipazione della srl in base al valore di mercato.
Contro tale decisione, nel ricorso per Cassazione portato avanti solo da uno dei soci costretti a vendere, si eccepiva, tra l’altro, l’erronea qualificazione della clausola quale ipotesi di obbligo di recesso – definito “vincolato-obbligatorio” o, comunque, “imposto” – e non già di esclusione, che avrebbe richiesto una delibera assembleare mai adottata dalla società.
Si criticava, inoltre, la soluzione di ritenere la cessazione del rapporto di lavoro, “per qualsiasi ragione o causa”, una giusta causa di esclusione (o, comunque, di recesso obbligatorio).
Si contestava, infine, il fatto di avere concluso nel senso della derogabilità del criterio legale di liquidazione della partecipazione, costituito dal relativo valore di mercato, anche nei casi in cui la fuoriuscita dalla società fosse avvenuta contro la volontà dei soci.
In ordine al primo rilievo, la Suprema Corte sottolinea come sia corretta la decisione del giudice di merito secondo la quale la dismissione della quota – e la conseguente fuoriuscita dei soci dalla compagine sociale – non richiedesse la previa delibera dell’assemblea della società. Infatti, la volontà espressa nella clausola statutaria di individuare una specifica situazione al ricorrere della quale il socio è obbligato alla alienazione della sua quota di partecipazione al capitale della società, senza una previa manifestazione di volontà da parte dell’assemblea, non può essere qualificata quale ipotesi di esclusione e ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 2473-bis c.c., che richiede, sia pure non espressamente, la valutazione dell’assemblea quale suo momento conclusivo.
Con riguardo al secondo rilievo, poi, si sottolinea come sia da considerare pienamente valida una clausola statutaria che imponga ai soci di possedere determinati requisiti, accertabili senza margini di discrezionalità; infatti, risulta meritevole di tutela l’interesse ad avere una compagine sociale composta da soci aventi determinati requisiti soggettivi, in quanto funzionale al mantenimento della sua omogeneità soggettiva e del conseguente assetto organizzativo. D’altra parte, la disciplina in tema di trasferimento delle quote di srl consente l’introduzione di clausole statutarie che prevedano limiti alla circolazione delle stesse (art. 2469 c.c.) e tali limiti possono avere carattere soggettivo, in relazione alle qualità dei potenziali cessionari.
Con riferimento all’ultima eccezione, infine, i giudici di legittimità osservano come essa muova da un assunto erroneo, ovvero che si sia in presenza di un exit dalla società “contro la volontà del socio”, in quanto tale riconducibile alla fattispecie dell’esclusione. Laddove, invece, come evidenziato, la Corte d’Appello aveva escluso la ricorrenza di una siffatta fattispecie e ricondotto l’uscita dalla società del socio all’operatività di una causa convenzionale di recesso.