Con la legge di bilancio 2024 (art. 1 comma 99 della L. 213/2023), sono state rafforzate le misure di contrasto alla diffusione di partite IVA false o inattive.
Gli effetti della disciplina relativa ai controlli sulle partite IVA, previsti dall’art. 35 comma 15-bis.2 del DPR 633/72, vengono estesi anche all’ipotesi in cui l’Agenzia delle Entrate notifichi un provvedimento di cessazione al soggetto passivo che ha fatto apposita richiesta di chiusura nei 12 mesi precedenti.
Anche nel caso di chiusura della partita IVA ai sensi dell’art. 35 comma 15-bis.1 del DPR 633/72, qualora il soggetto passivo non fornisca all’Ufficio le informazioni necessarie, scatta il divieto di compensazione orizzontale delle imposte con altri tributi o contributi, a decorrere dalla data di notifica del provvedimento di esclusione.
L’esclusione opera a prescindere dalla tipologia e dall’importo dei crediti, anche qualora questi ultimi non siano maturati con riferimento all’attività esercitata con la partita IVA oggetto del provvedimento, e rimane in vigore fino a quando la partita IVA risulti cessata (art. 17 comma 2-quater del DLgs. 241/97).
Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti in violazione di quanto descritto, il modello F24 viene scartato. Lo scarto è comunicato tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate al soggetto che ha trasmesso il modello, mediante un’apposita ricevuta (art. 17 comma 2-sexies del DLgs. 241/97).
Il divieto di compensazione a seguito della cessazione ex officio della partita IVA è una novità: la disciplina relativa ai controlli sulla soggettività passiva, prevista dall’art. 35 commi 15-bis.1 e 15-bis.2 del DPR 633/72, non contemplava tale limitazione.
È stata, quindi, introdotta dall’art. 1 comma 97 della L. 213/2023, con effetti dal 1° gennaio 2024.
A seguito del provvedimento di cessazione della partita IVA irrogato dalle Entrate sulla base di specifici elementi di rischio, il soggetto passivo è invitato a comparire di “persona” presso l’Ufficio per esibire le proprie scritture contabili (laddove obbligatorie) oppure ulteriore documentazione. In particolare, al fine di attestare l’assenza dei profili di rischio che gli sono stati contestati, viene richiesto di fornire prova del possesso della soggettività passiva IVA ex artt. 4 e 5 del DPR 633/72 e del regolare esercizio dell’attività d’impresa, arte o professione.
Nel caso di mancata comparizione presso l’Ufficio ovvero di esito negativo dei riscontri operati sui documenti eventualmente esibiti, sono previste ulteriori penalità rispetto al provvedimento di cessazione della partita IVA e al divieto di compensazione.
Innanzitutto, l’Agenzia delle Entrate può irrogare una sanzione pari a 3.000 euro, ai sensi dell’art. 11 comma 7-quater del DLgs. 471/97, senza possibilità di beneficiare del c.d. “cumulo giuridico”.
Detta sanzione è prevista anche nel caso del provvedimento di cessazione della partita IVA per la quale la chiusura era stata chiesta negli ultimi 12 mesi: lo dispone espressamente il nuovo comma 15-bis.3 dell’art. 35 del DPR 633/72.
Inoltre, la partita IVA viene esclusa dalla banca dati VIES e l’effettiva cessazione della stessa può essere riscontrata (da parte di clienti e fornitori) sul sito dell’Agenzia delle Entrate, nella sezione dedicata allo specifico servizio di verifica (provv. 16 maggio 2023 n. 156803).
Da ultimo, l’art. 35 comma 15-bis.2 del DPR 633/72 impone al soggetto passivo che intenda chiedere la riapertura della partita IVA cessata di rilasciare una polizza fideiussoria o una fideiussione bancaria di durata triennale e di importo pari a 50.000 euro, in via ordinaria. L’importo può essere superiore a 50.000 euro, nel caso di un maggiore importo dovuto all’Erario a seguito di eventuali violazioni fiscali commesse antecedentemente all’emanazione del provvedimento di cessazione della partita IVA.
Con il provvedimento n. 156803/2023, l’Agenzia delle Entrate ha definito le modalità e i criteri su come sono condotti i controlli finalizzati alla cessazione della partite IVA per le quali viene riscontrato un particolare “rischio fiscale”.
Gli elementi di rischio possono rinvenirsi: in capo al titolare della ditta individuale, al lavoratore autonomo o al rappresentante legale; rispetto alla tipologia e alle modalità di svolgimento dell’attività, laddove emergano anomalie economico-contabili nell’esercizio della stessa, strumentali a gravi o sistematiche condotte evasive; nella posizione fiscale del soggetto titolare della partita IVA, laddove si riscontrino gravi o sistematiche violazioni delle norme tributarie.
I suddetti elementi di rischio sono determinati confrontando sia le informazioni derivanti dalle banche dati dell’Agenzia delle Entrate sia quelle eventualmente acquisite da altre banche dati (pubbliche e private) o, ancora, attraverso segnalazioni provenienti da altri enti, nonché “da ogni altra fonte informativa”.